Il Decreto Semplificazioni è un caos di norme. Servono scelte radicali.

La prima lettura del D.L. Semplificazioni lascia l’amministrativista perplesso.

Dal testo di mole «elefantiaca» (e già questo non è un segno di semplificazione) non si ricava nessuna disposizione generale relativa alla semplificazione, ma solo regole di aggiustamento o modifica di singole fattispecie. Difficile in un simile contesto parlare di semplificazione: questo decreto legge, infatti, tutt’al più, accorcerà i tempi di qualche procedimento, ma non inciderà sulla complessità e farraginosità dell’attivita amministrativa.

La semplificazione amministrativa non si realizzerà mai se non si assumeranno scelte radicali, quali la drastica riduzione dei processi autorizzativi con la conseguente liberalizzazione delle attività, l’eliminazione del controllo preventivo e la definizione di un sistema efficiente di controlli successivi.

Questo obiettivo richiede anche una semplificazione del ginepraio legislativo con un processo di totale riordino delle legislazione e con l’introduzione di una tecnica legislativa che eviti un successivo ritorno ad una mole ingovernata ed ingovernabile di leggi. E’ necessario, peraltro, un approccio legislativo, che parta dalla considerazione delle cause della complessità amministrativa: la realizzazione dell’opera pubblica in Italia ha tempi lunghi non solo (e non tanto) a causa delle procedure degli appalti. E, d’altra parte, la farraginosità di queste ultime non dipende solo e soltanto dal tipo di affidamento.

Per sveltire non va, forse, ripensato radicalmente l’intero sistema? Semplificare non vuol dire «aggiustare» le regole, vuol dire cambiarle. Alla stessa conclusione porta la lettura delle disposizioni in materia edilizia, che hanno, in realtà, solo una portata interpretativo-modificativa della disciplina della ristrutturazione e poco più. La lentezza e la mancanza di certezze per il cittadino e per le imprese, pero, non dipendono da questo, ma dai tempi ancora troppo lunghi del rilascio dei permessi di costruire e da un eccessiva «discrezionalità» lasciata agli uffici comunali grazie ad una abnorme analiticità della normativa urbanistico-edilizia.

E dunque?

Si continua ad eludere il problema come quando si pensa che il problema, più in generale, dei procedimenti si risolva privilegiando la conferenza dei servizi semplificata rispetto a quella cosiddetta sincrona. Semplificare – si dice – non deve voler dire ottenere le garanzie di legalità: giusto, ma, se si vogliono mantenere le stesse garanzie, non si semplifica.

La verità è che solo con una riforma organica della P.A. e della sua attività, cioè, solo con una nuova Legge 241 si può cambiare il modello e realizzare la semplificazione. Solo una riforma, infatti, può ridefinire il ruolo e le funzioni della P.A. nei rapporti con i cittadini e le imprese. E dovrebbe essere una riforma a 360°, che dovrebbe comprendere anche quella dell’impiego nel pubblico.

Un’ultima annotazione.
L’abuso degli atti d’ufficio è una fattispecie di reato, che non ha dato buona prova di sé per la sua indefinitezza, che è stata più un’opportunità di aprire indagini che non una norma che abbia consentito di colpire abusi, come dimostrano le molte assoluzioni. Epperò ha frenato e frena l’azione amministrativa. La modifica proposta non apporta chiarezza, ma allarga il margine di interpretazione della magistratura inquirente e di quella decidente, a tutto danno della certezza del diritto. E’ troppo pensare che la sua abrogazione non sarebbe uno scandalo?

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