Esito elettorale: lettera agli iscritti

Non è nella mia indole disperare davanti alle sconfitte. Non l’ho mai fatto e non lo farò certo nemmeno in questa occasione, per quanto certo dispiaccia dover interrompere il lavoro iniziato nel corso della legislatura in cui mi sono impegnato,  per cui non posso ovviamente dirmi contento dell’esito elettorale. Un esito di cui ho assoluto e dovuto rispetto, che esso a mio vedere nel suo complesso ponga l’Italia di fronte a dei rischi e dei problemi oggettivi, o meno.

Rimando al post del 5 Marzo sulla mia pagina facebook [link] per la lettura del commento successivo ai risultati delle elezioni.
Condivido invece qui con Voi la mia comunicazione agli iscritti al Partito Democratico.
Una comunicazione che nasce com’è ovvio dalla fine dell’esperienza parlamentare, ma che al tempo stesso in nessun modo vuole essere triste commiato, né tantomeno sancire la fine del mio impegno al servizio del Bene Comune, dei Valori e degli Ideali in cui credo da sempre. Che come tali sempre accompagneranno il mio fare, politico e non.

Lettera agli Iscritti – Giorgio Pagliari
19 Marzo 2018

Carissime e carissimi,
consentitemi di premettere gli auguri a Maurizio Martina e a tutto il gruppo dirigente.
Ciò premesso, al termine dell’esperienza parlamentare, desidero ringraziarVi del sostegno e, comunque, dell’attenzione.

Sono stati cinque anni complessi e delicati, pieni di importanti realizzazioni, pur se non scevri di errori.
Il risultato elettorale punisce più del meritato?
Credo di sì, ma nessuna considerazione può attenuarne la portata.
Cinque anni di liti intestine e di “partito nel partito”, cinque anni ripiegati su se stessi in un eterno congresso, cinque anni di mancato dialogo e confronto con la gente, che abbiamo lasciato in balia delle false notizie senza informarla adeguatamente sui provvedimenti assunti, cinque anni alla mercé dei protagonismi esasperati che hanno soffocato la politica, cinque anni nei quali ci siamo “persi” in discussioni su riforme costituzionali ed elettorali mentre le persone chiedevano risposte alle loro difficoltà, hanno determinato la situazione attuale.

Sulla sicurezza e sull’immigrazione non siamo riusciti a essere protagonisti, abbiamo anzi dato l’idea di essere sulla difensiva, quasi di voler difendere l’esistente. Al contrario, noi siamo e dobbiamo essere garanti della sicurezza dei cittadini con equilibrio e nella legalità, epperò non con minor determinazione perché necessitano, quanto meno, più “presenza dello Stato”, una modifica legislativa, che eviti che “il giorno dopo sono fuori”, cambiando la disciplina della custodia cautelare, aumentando le pene per furti in casa e scippi, nonché rendendo certa la pena, ovvero il carcere. E ciò deve essere perseguito pur continuando a considerare e a chiedere di aggredire le cause sociali di fondo della criminalità, legate al contesto e al degrado delle città e delle periferie, alla caduta dei valori e alla perdita di ruolo della famiglia e della scuola.Parimenti, sull’immigrazione dobbiamo sviluppare, ormai a livello di proposta, gli indirizzi indicati da Marco Minniti.
La nostra gente – non altri – chiede un’azione chiara, certa e definitiva nei suoi diversi aspetti: dall’accoglienza irrinunciabile al controllo dei flussi, al completamento dei procedimenti di verifica del diritto all’asilo e ai provvedimenti conseguenti, compreso il rimpatrio (peraltro, concretamente complicatissimo), alla repressione dei comportamenti illegali, allo sviluppo di una politica di integrazione e di gestione della presenza anche temporanea con occupazione delle persone in attività formative e lavorative.Il tutto in un quadro di adeguata attenzione ai cittadini italiani e, in particolare, a quelli in difficoltà. Non può essere che le istituzioni possano essere – o, comunque, apparire – più attente agli immigrati che ai propri cittadini. Quante volte me lo sono sentito (ingiustamente?) rimproverare!
Se si ascolta la gente per strada o nei bar ci si avvede che, in non rari casi, più che paura o razzismo, la contrarietà verso l’immigrazione è legata alla percezione di una minor considerazione delle proprie difficoltà.Adesso ci attende la “traversata del deserto”: non ci sono scorciatoie perché bisogna ricostruire una presenza e un messaggio politici in grado di attrarre di nuovo l’elettorato.

Sotto questo profilo, pregiudizialmente, è necessario che il PD smetta di esaurire la propria azione nel continuo congresso interno. I risultati congressuali vanno rispettati e la collegialità, che è confronto per la costruzione delle decisioni e per la loro massima condivisione, non può essere invocata per parificare il ruolo della maggioranza a quello della minoranza. Il PD dev’essere tale sia che, ad esempio, il segretario si chiami Renzi o che si chiami Orlando, e la fisiologia del rapporto interno è il confronto sulle linee politiche e non la delegittimazione del vincitore.
Diversamente, il risultato del 4 marzo u.s. è destinato a non essere il peggiore.Guardiamo avanti! Guardiamo avanti con la consapevolezza (non con la presunzione!) che la nostra capacità di proposta rimane alta, che non dobbiamo reinventare tutto, ma essere più coraggiosi – ad esempio – soprattutto sulla tutela dei lavoratori nei periodi di disoccupazione (la c.d. flex security), nelle politiche attive per il lavoro, nelle politiche giovanili e nelle politiche di bilancio.
Dobbiamo, al contrario, essere più autentici, limitando lo spazio dei troppi “leader” vittime del politichese e di radicati pregiudizi, che ci riportano indietro e che sono purtroppo emersi in talune delle dichiarazioni in direzione.
Grazie ancora a tutti!
Giorgio

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