Il solito film della semplificazione amministrativa

Ci risiamo! Riparte il film della semplificazione amministrativa.

Il tema è vecchio e ricorrente, ma ancora più vecchi sono gli slogan utilizzati, il frasario retorico e la superficialità dell’approccio. Su queste premesse, il risultato appare già scritto: tutto cambi perché niente cambi. Il che, come insegna la storia italiana, si tradurrebbe nell’effetto contrario a quello ricercato.

È possibile, però, trarre dalla storia stessa alcune indicazioni.

La prima riguarda la distinzione tra un processo di semplificazione inteso come interventi specifici sui singoli modelli di relazione tra Pubblica amministrazione (P.A.) e cittadini e sull’articolazione dei procedimenti amministrativi e un intervento “strutturale”, che parte dal ridisegno del rapporto tra Amministrazione e privati.

Nel primo caso, l’intervento è di breve respiro e destinato a consentire qualche modifica formale con effetti circoscritti e senza alcun riflesso significativo sulla vera “questione amministrativa”: le caratteristiche e la qualità della presenza della P.A. e il rapporto tra questa e i destinatari della sua azione.

Nel secondo caso, la semplificazione diviene la conseguenza “cambio del quadro”, che sta a significare: ridefinizione del ruolo della P.A. e dei suoi poteri nonché dei diritti dei privati. Il che, in sintesi, significherebbe disegnare una P.A., che, in piena coerenza con la sussidiarietà orizzontale (articolo 118, IV comma, Costituzione), sia chiamata a regolare (e non più a gestire direttamente): non incida cioè sull’esercitabilità di un’attività, ma ne controlli l’esercizio.

Non più, in altri termini, la P.A. delle autorizzazioni (ovverossia degli atti senza i quali non si può svolgere una data attività), ma la P.A. dei controlli successivi e delle verifiche sull’attività già in essere: privati e imprese (ovverossia i destinatari dell’attività amministrativa), in prima battuta, diventano la “P.A. di se stessi” perché sono chiamati, con autocertificazioni e atti asseverati, ad “autorizzarsi da soli”, cioè a creare le condizioni dell’attività senza attendere l’attoamministrativo.

Ciò che, a parole, è apparentemente (abbastanza) semplice, nei fatti sarebbe una vera impresa ciclopica perché cambierebbe il volto e il ruolo della P.A., e della burocrazia, rovesciando la relazione tra Amministrazione e privati.

La seconda indicazione è quella relativa alla necessità di scelte nette e chiare perché fino ad ora i disegni di semplificazione sono stati negativamente ispirati dalla logica dello “stop and go”, del “vorrei, ma non posso”, del “fare piano per non urtare la burocrazia”.

L’esito sono state scelte contraddittorie, “semplificazioni, che hanno complicato” e operazioni di pura facciata. Il che è come dire che la politica deve trovare la forza, che finora non ha dimostrato, nei confronti della burocrazia sempre in trincea rispetto a questi processi perché la semplificazione incide sulla sfera di influenza di quest’ultima e sul suo concreto potere.

Una questione, infatti, è essere in grado di impedire l’avvio di un’attività; un’altra è poterne verificare la liceità “a motori avviati”: il “peso” del potere è nettamente diverso.

Né può sfuggire che il cambio del quadro reca con sé la necessità di una P.A. diversa sul piano della mentalità e della professionalità dei suoi dipendenti.

È il passaggio decisivo, che richiede tempi medio-lunghi e una gestione del personale, quale, al di là delle parole, l’Amministrazione pubblica oggi non ha.

In realtà, la vera semplificazione amministrativa presuppone una P.A. non depotenziata, ma più qualificata e più responsabilizzata. E senza di essa tutti gli sforzi di riforma saranno vani, perché è pacifico che “le riforme camminano con le gambe degli uomini”.

Un’ultima annotazione!

La semplificazione amministrativa necessita della semplificazione legislativa e normativa. Non si arriverà, infatti, a nessun risultato senza un riordino della legislazione, senza testi unici, senza l’introduzione di una tecnica legislativa più ordinata che riconduca ogni riforma ad integrarsi in codici o in testi unici così da rendere possibile l’effettiva conoscibilità della legge.

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