Caro Segretario,
le note, che seguono, sono soprattutto il frutto del confronto con cittadini ed operatori del settore. Da ciò la ragione della trasmissione nella forma della lettera aperta.
A chi non voglia confondere le carte è chiaro che l’equilibrio democratico si regge, come la storia (e non la teoria) insegna, su un vero equilibrio tra i poteri fondamentali dello Stato. Il tema dell’azione penale ha dirette attinenze con questo problema, per di più nel tempo, quale purtroppo è questo, dei processi mediatici e delle notizie di reato, la cui pubblicizzazione, insieme a selezionate intercettazioni, consente di celebrare il solo processo che conta sul piano sociale: quello fuori dalle aule di tribunale. E il quadro risulta ancora più drammatico se si pone mente all’instaurazione di veri e propri processi penali paralleli portati avanti, con palese forzatura costituzionale, da trasmissioni televisive relativamente a casi di cronaca nera.
Su queste premesse, è chiaro che la prescrizione penale è solo un aspetto, pur rilevantissimo, del problema più generale, rappresentato dalla disciplina dell’azione penale.
Centralissima è la durata dell’azione penale: inammissibilmente lunga, in violazione della Costituzione. Ogni riforma non può che partire, pertanto, dalla radicale ridefinizione dell’organizzazione del sistema giudiziario, che non è solo (e meno che meno esclusivamente), una questione di codici, e che deve far sì che la macchina della giustizia sia, di per sé, in grado di rendere effettivo il giusto processo (art. 111, II comma, Cost.). Una volta raggiunto questo obiettivo, si potrà e si dovrà ragionare di misure che, nel rispetto dell’art. 24 Cost., possano combattere l’abuso del processo. Aberrante e fuorviante è aggredire il problema della lentezza del processo con misure che, a priori, incidono sul diritto di azione e/o su quello di difesa.
Purtroppo è proprio questo che da anni succede con tutte le misure (decadenze, filtri, limitazioni varie), che tendono ad abbattere il contenzioso, mirando a recuperare l’efficienza della macchina con la diminuzione della domanda di giustizia. In questo quadro, si inserisce la ignobile norma sulla prescrizione penale destinata, al momento, ad entrare in vigore nel 2020.
La prescrizione, notoriamente, è istituto che deve garantire tempi certi di esercizio di un diritto o di una facoltà per evitare di lasciare il destinatario degli effetti dell’esercizio di detto diritto o di detta facoltà in una condizione di eterna incertezza. Ed è chiaro che questa esigenza vale anche per colui nei confronti del quale è stata attivata l’azione penale: è la Costituzione a sancirlo, adombrando di incostituzionalità tutte quelle ipotesi che, eludendo la ragione fondante della prescrizione, introducano regimi legittimanti processi a tempo indeterminato o eccessivamente lungo. È esattamente ciò che propugna la scellerata norma che dovrebbe entrare in vigore nel gennaio 2020. Scellerata sia perché fondata sull’idea di una forma di stato etico, il cui potere forte sia quello giudiziario, sia perché è contraria a ogni principio di civiltà giuridica la tesi che il potere punitivo possa essere esercitato nei tempi indeterminati decisi dal sistema giudiziario o peggio dal singolo giudice. Chi sbaglia deve pagare, ma non può restare per anni e anni senza sapere se sarà condannato o meno. Il monito di Kafka non serve a niente?
Un’ultima chiosa.
La prescrizione dopo il primo grado penale viola il precetto del giusto processo (art. 111, II comma, Cost.) e trasforma la presunzione di non colpevolezza (art. 27 Cost.) nel suo opposto, cioè, nella presunzione di colpevolezza, che sola può giustificare un processo temporalmente infinito.
Un altro profilo non meno negativo e drammatico è quello relativo alle intercettazioni.
Queste sarebbero coperte da segreto istruttorio e sono strumenti di indagine, che dovrebbero servire per l’esercizio dell’azione penale e per il processo nelle aule giudiziarie e solo in esse.
Ho usato il condizionale perché succede esattamente il contrario: le intercettazioni vengono divulgate, spesso ad arte, per anticipare il processo sul circuito mediatico o peggio per creare l’“altro processo”, il “processo politico”, cioè quello fondato su una circostanza penalmente irrilevante, ma utile sul piano dell’opinione pubblica per distruggere la reputazione di una persona, per costringerla alle dimissioni sull’onda dello sdegno popolare o per appannarne l’immagine più o meno definitivamente. I principi costituzionali, che questa prassi viola, sono innumerevoli così come è incommensurabile la lesione dei principi della civiltà giuridica e della convivenza sociale. Purtroppo, questo è il contesto che piace ai giustizialisti e, peggio ancora, a coloro che ricercano il consenso politico con scandalismi o fake news, non meno che a certi attori, a diverso titolo, del mondo giudiziario; soggetti tutti che sono propensi all’uso politico della giustizia, pur se l’illusione di arrivare al potere per la via giudiziaria è stata frustrata più volte almeno negli ultimi trenta anni. Lo stop su questo piano deve essere fermo e deciso: divieto assoluto di diffusione delle intercettazioni da parte degli uffici giudiziari con sanzioni penali significative per i titolari degli uffici e/o per i responsabili con aggravante per la diffusione delle intercettazioni prive di rilevanza penale nel contesto dell’azione penale di riferimento; obbligo di distruzione delle intercettazioni non rilevanti processualmente.
Su questi temi, mi permetto di dire che, se il PD non vuole tradire i suoi valori di fondo e la Costituzione, non può far prevalere tatticismi o equilibrismi e acconsentire a soluzioni pasticciate o del segno di quell’ “aborto di riforma” del processo civile (altra vera emergenza), prospettato in questi giorni.
Sulla giustizia si giocherà una partita non meno importante sul piano democratico di quella che ha visto la mobilitazione della gente in questi giorni.
Se mi posso permettere una battuta, mi auguro che non si creino i presupposti per le “Sardine della giustizia”.
Capisco di enfatizzare, ma non credo di esagerare.
Buon lavoro!
Con i migliori saluti.
Giorgio Pagliari