Anche Parma sembra influenzata dalla moda nazionale di parlare del PD, non solo da parte dei suoi elettori, simpatizzanti o militanti, ma anche da parte di chi in questo partito non è mai stato o non lo ha mai votato.
Il fenomeno meriterebbe di essere studiato perché ha una sua singolarità.
Interventi di tanti personaggi senza autore, più che in cerca di autore, che pontificano sentenze mossi da misterioso, incomprensibile livore. Quasi che il PD sconfitto facesse rabbia persino agli avversari (?!).
Questi a parte, riscontro due “filoni di pensiero” sostanzialmente distinti: chi ritiene chiusa l’esperienza del Partito Democratico e auspica nuovi orizzonti, e chi suggerisce un suo risanamento o una sua trasformazione.
Il quadro complessivo è talmente mobile, che non si può escludere nulla.
La prima idea è vecchia come il mondo ed è frutto di quell’illusione che ha già attraversato la Storia, per la quale basta cambiare il nome e darsi una spolverata e tutto si risolve. Per di più in questo contesto, l’idea della declinazione secondo la quale bisogna costruire un movimento largo in nome dell’oggettiva emergenza democratica, mi ricorda molto la stagione de L’Ulivo. Una stagione sicuramente importante, ma per “problemi di DNA” non decisiva né per il consolidamento della democrazia in Italia, né per il consolidamento del centro sinistra, come prova la situazione attuale.
La seconda tesi, quella del risanamento del Partito, rischia di avere un respiro molto corto se la logica, in cui si muoverà il necessario processo sarà quella a cui ancora si assiste in questi giorni: il solito penoso duello tra anime e correnti per il controllo di un partito considerato ancora come il partito-chiesa.
Nessuna delle due prospettive mi pare adeguata e destinata al successo.
La realtà ci consegna un quadro che non può essere governato e controllato in nessuno dei suddetti modi. C’è un’opinione pubblica che ha voltato le spalle per una complessiva perdita di credibilità, per una mancanza di tangibilità immediata degli effetti positivi di pur giuste politiche economiche e del lavoro, per il diffondersi di una insofferenza e di una correlata richiesta di politiche concrete e significative in materia di immigrazione e sicurezza.
Questa opinione pubblica è non solo arrabbiata, ma legittimamente incattivita, perché – in una sua parte – dal PD si aspettava molto e sia anche sbagliando ritiene di aver ricevuto molto poco: parole e non fatti.
La chiave di tutto io credo stia proprio qui, nei fatti, che devono venire prima dei faticosi e defaticanti percorsi congressuali. Alla gente bisogna parlare e parlare di questioni concrete, non avendo paura né di affrontare i temi scottanti, né di allargare il quadro delle questioni ponendo attenzione ai tantissimi problemi che l’attuale governo non pare avere nemmeno in agenda. Alla gente vanno date soluzioni.
La politica salviniana va apertamente criticata, anche se ciò fosse attualmente impopolare, per quel di più di inconcludente e disumano che la caratterizza. Non si deve avere reticenza nel dire che la politica di Minniti aveva cominciato a dare frutti oggettivi quantificabili nero su bianco, né che andrebbe proseguita e rafforzata quale politica non solo di rispetto umano ma anche realistica. Partendo dal presupposto che – come ha detto anche Papa Francesco – l’accoglienza deve trasformarsi in stabile nella sola misura in cui può avvenire in un contesto di integrazione sociale e lavorativa reale. Per il resto, bisogna provvedere a rimpatri accompagnati da una vera politica di sviluppo socio-economico nei paesi di provenienza. E tutto questo deve sempre, comunque, avvenire tenendo presente che la risposta all’emarginazione indigena non può essere meno decisa e efficace, né può consentire che gli italiani restino indietro.
Il discorso potrebbe continuare su altri temi, ma un esempio può (forse) bastare.
Spero che si comprenda che la prospettiva considerata vuole essere lontana dalle tante riflessioni che si limitano a questioni marginali, o ferme a vecchie logiche, a vecchie ambizioni, a vecchie visioni che ammantano le cose di novità dimenticando patenti di non credibilità già ricevute.
C’è bisogno di autenticità, di etica coerente oltre gli interessi personali, di chiarezza ed unità di intenti. Di attenzione vera alla Politica e ai suoi fini naturali. C’è bisogno di un pensiero moderno.
Di altro non ce n’è alcun bisogno né spazio: nessuno si illuda!