“Dico che, se nell’atto di costruire una casa nella quale dobbiamo ritrovarci tutti ad abitare insieme, non troviamo un punto di contatto, un punto di confluenza, veramente la nostra opera può dirsi fallita. Divisi -come siamo – da diverse intuizioni politiche, da diversi orientamenti ideologici, tuttavia noi siamo membri di una comunità. La comunità del nostro Stato e vi restiamo uniti sulla base di un’elementare, semplice idea dell’uomo, la quale ci accomuna e determina un rispetto reciproco verso gli altri”. Aldo Moro, 1947
Da cittadino, ben prima che da membro dell’ultima commissione parlamentare d’indagine, ricordo come fosse ieri i notiziari di radio e televisioni che il 9 maggio ’78 annunciarono il ritrovamento del cadavere di Aldo Moro nel baule della Renault Rossa in via Caetani, a Roma. Non meno ricordo le immagini, indelebili, che accompagnarono tale annuncio.
In quei giorni, la tragedia umana e familiare si confuse, per forza di cose (ma ingiustamente), con quella politica, rimanendo per così dire sullo sfondo. Ciò nonostante oggi come ieri guai a dimenticare il sacrificio personale e il dolore privato, non rinnovando sentimenti di sincera solidarietà alla famiglia di Moro, quanto a quelle di tutti gli uomini della scorta.
Nemmeno la tragedia politica, peraltro, ha ancora finito di produrre i suoi effetti: quell’esecuzione, i cui veri mandanti ad oggi non sono ancora sicuramente individuati, non privò l’Italia solo dell’uomo politico di maggior peso e visione, insieme ad Enrico Berlinguer, ma dell’interprete e della guida di una fase delicatissima della storia italiana sul piano politico e sociale.
Il Paese rimase privo di uno dei suoi artefici chiave del cambiamento del sistema politico che, dopo una fase di solidarietà nazionale, sarebbe stato avviato alla democrazia dell’alternanza, ritenuta indispensabile per garantire il consolidamento della democrazia stessa e lo sviluppo di una sana dialettica tra forza diverse, financo antitetiche. Forze però, che come dimostrarono proprio in quegli anni e in quei giorni, seppero allearsi tra loro, sia pure in modo graduale, per rispondere all’emergenza politica e sociale del momento.
Quel processo non è mai più ripartito e tutto è pian piano precipitato nell’oggi: alla stagione della solidarietà nazionale, subentrò la stagione del c.d. Pentapartito a cui quindi seguirono la stagione di mani pulite, l’era berlusconiana e quella del Centrosinistra, ora seguite dall’attuale situazione caratterizzata da una vera e propria crisi istituzionale o di sistema dove chi è stato investito della fiducia popolare per governare, non si accorda e anzi pone veti per farlo.
Il tempo è galantuomo, si dice. Certo è così per Aldo Moro, grande uomo politico e statista vero, la cui importanza appare forse oggi più nitida di quanto non apparisse quarant’anni orsono.