Ricordare, oggi, il voto del 2 giugno e quindi la nascita della Repubblica significa rammentare qualcosa che nel nostro paese non è mutabile, salvo che con un rovesciamento violento dell’ordine costituito e cioè la forma repubblicana come riporta l’articolo 139 della Costituzione: “La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale”, comunque seguente alla volontà espressa dai cittadini con il referendum. La forma repubblicana scelta il 2 giugno del 1946, infatti, non può essere oggetto di revisione e quindi non è nella disponibilità della politica. Cioè non può entrare nel dibattito legislativo costituzionale. È intoccabile, nessuno può pensare di indire un referendum per metterla in discussione, rivederla, riformarla o peggio trasformarla.
Perché?
Perché con tale testo il costituente ha voluto indicare non solo un passaggio legislativo bensì ha voluto dare una indicazione di principio. Non può esistere più nel nostro paese un governo di uno solo, non scelto e non votato dai cittadini. La partecipazione deve essere quindi alla base della nostra forma istituzionale come ancoraggio ai valori che sono poi indicati nella carta costituzionale. Ciò che è stato scelto con il referendum, e quindi dai cittadini tramite un’ampia partecipazione, non si può mutare, sia perché valido in sè, come principio che sancisce il percorso storico del nostro paese dall’8 settembre in poi, sia perché è stato determinato a suffragio universale, per la prima volta in Italia.
Partecipazione ampia che già era tracciata nel corpo elettorale che portò alla vittoria nel referendum della forma repubblicana. Mi riferisco al voto alle donne. Non va dimenticato che fu la prima volta che nel nostro paese le donne furono chiamate al voto: il suffragio era davvero universale. Non fu una concessione ma fu una conquista delle stesse donne grazie alla loro partecipazione alla lotta di Resistenza e anche al loro essere state una parte importante del sistema produttivo e di assistenza durante la guerra.
Ecco, ricordare il 2 giugno. il referendum e la Repubblica vuol dire contemporaneamente fare memoria anche della Resistenza e del sacrifico di tanti, e allo stesso tempo significa, a mio parere, rammentare qualcosa di attuale e moderno sia in punta di principio, la scelta della Repubblica, sia ex lege.
“La Repubblica, specchio dei suoi cittadini e, insieme, baluardo delle loro libertà, deve sempre sapere rinnovarsi, dotarsi di strumenti più efficaci e trasparenti, riconquistarne la piena fiducia, indebolita in anni di crisi economica, di minor fertilità del circuito democratico. La Repubblica resta lo spazio vitale. Resta un ponte. Verso l’Europa, che è il nostro destino e la nostra opportunità nel mondo globale. Verso uno sviluppo sostenibile, che deve legare insieme la qualità italiana, una migliore competitività del sistema e una maggiore equità sociale. Verso il futuro, per dar sicurezza alle speranze dei nostri giovani.
Non saper guardare oltre il presente costituisce uno dei limiti più grandi del nostro tempo. La scelta repubblicana fu, allora, il risultato di uno sguardo lungo. Sono convinto che disponiamo di tutte le energie per progettare insieme un futuro migliore”.
(Sergio Mattarella, “La scelta repubblicana nella ricostruzione della democrazia italiana”, in “Italianieuropei”, n. 2-3/2016).
Sono due i punti focali da ricordare il 2 giugno:
1. La forma repubblica non può essere oggetto di revisione costituzionale (ciò non significa che la Costituzione sia immodificabile) non può essere piegata al volere di maggioranze variabili; di accordi di partito; di alchimie parlamentari: è un principio assoluto dal quale non possiamo tornare indietro. Certo lo si può modulare, attraverso sistemi elettorali, scelte economiche e politiche di quadro generale, ma non lo si può rivedere;
2. È così, forse fra le poche cose del nostro paese, perché ha avuto una larga ed ampia legittimazione popolare (grazie anche alla spinta di De Gasperi) nella quale il tratto qualificante è stata la partecipazione al voto delle donne.
Quindi la forma repubblicana non è oggetto perchè è soggetto vivente (mi si passi la metafora se vogliamo metagiuridica) e promotore della nostra appartenenza nazionale; è soggetto livellatore, secondo criteri di libertà e democrazia, che contribuisce a smussare le differenze e le disuguaglianze, fin dalla sua genesi referendaria con l’ampio elettorato che concorse (anche votando in senso opposto) alla sua scelta; è soggetto perché come ha ricordato il Presidente Mattarella, nel passaggio prima citato, ci proietta nel futuro all’interno del più ampio quadro europeo, di più larghi orizzonti di inclusione e pace; è soggetto perché è anche limite, invalicabile, oltre il quale non solo il nostro sistema istituzionale non può andare, ma anche oltre il quale noi come cittadini non possiamo spingerci, che dobbiamo rispettare e che significa comprendere non soltanto che la mia libertà finisce dove comincia quello dell’altro, ma che la persona gode di diritti inviolabili che lo Stato deve riconoscere in quanto lo precedono; che tutti siamo uguali di fronte alla legge; che la Repubblica è democratica, è fondata sul lavoro e che la sovranità appartiene al popolo che la esercita però “nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
La repubblica scelta quel 2 giugno è stata insomma un vero ponte verso il futuro in quanto ha indicato l’orizzonte entro il quale tratteggiare il nostro percorso, non solo come Stato, ma anche, e forse soprattutto, come cittadini.
Viva l’Italia, viva la Repubblica,
—Giorgio