Il caso Minzolini e il rapporto tra politica e giustizia

Il caso Minzolini riapre la questione del rapporto tra politica e giustizia. E la riapre, purtroppo, confondendo le prospettive.

La fattispecie del senatore Augusto Minzolini da punto di vista giuridico è semplice: la cosiddetta legge Severino prevede la decadenza dalla carica parlamentare per chi sia condannato in via definitiva ad una pena non inferiore a due anni e sei mesi, tra l’altro, per il reato di peculato.

Questo è, e non è data, nel rispetto della legalità, alternativa neanche al Parlamento, che può modificare la legge, ma che non può disattenderla, posto che, nel caso, opera come organo non legislativo, ma come organo di verifica dei poteri, cioè di convalida o non convalida degli eletti. E, in questa funzione, non ha nemmeno un potere discrezionale, bensì è chiamato, nella sussistenza – formale – dei presupposti di legge a prendere atto dell’esistenza o inesistenza dei requisiti per l’acquisizione o la perdita dello status di parlamentare.

La pretesa di sindacare la sentenza cozza contro il principio della separazione dei poteri, cardine della democrazia, per la simmetrica ragione per la quale il Parlamento, ai sensi dell’articolo 68 della Costituzione, è chiamato a sindacare la richiesta di arresto di un parlamentare in carica: il divieto di interferenza reciproca tra i poteri legislativo, giudiziario ed esecutivo.

In questo caso, infatti, è la legge che prevede automaticamente la decadenza in presenza di una sentenza definitiva, cosicché non prenderne atto significa non solo violare la legge, ma negare l’autonomia e l’indipendenza del potere giudiziario.

La differenza con l’autorizzazione all’arresto è evidente: nell’ipotesi, infatti, da un lato, non è previsto nessun automatismo conseguente dalla decisione giudiziaria, e, dall’altro (e prima ancora), è la Costituzione a prevedere che l’ordine di arresto sia eseguibile solo previa autorizzazione della Camera di appartenenza a tutela dell’autonomia e dell’indipendenza del potere legislativo.

Dura lex, sed lex”, direbbero gli antichi romani.

La  “Severino” va corretta?

Può essere, ma in nome dell’istanza riformatrice, non può essere disattesa.

Il nodo è tutto qui. Diversamente, la legge non sarebbe uguale per tutti.

Questo è il senso ultimo e più profondo del voto a favore della decadenza. Ed è evidente che una simile decisione è tutto tranne che una posizione giustizialista e di appiattimento sulla magistratura.

Da ultimo, il caso di Stefano Graziano, ma anche di tanti altri, pongono la questione del garantismo; una questione, che riguarda tutti i cittadini , ma che viene trattata soprattutto con attenzione alle grane giudiziarie dei politici per la particolare risonanza mediatica delle stesse..

Davvero si può pensare che sia degno della culla del diritto che i processi più importanti, mentre sono in corso, siano duplicati sui mass media? Davvero si può credere che una persona, perché impegnata in politica, sia messa alla gogna per la fuga di notizie relative ad intercettazioni effettuate dall’autorità giudiziaria e arbitrariamente trapelate, così determinando addirittura l’anticipo del vero processo e, anzi, per certo verso, rendendolo irrilevante?

Davvero si può giustificare un sistema, nel quale l’avviso di garanzia diventi una sentenza irrevocabile, con la conseguenza che l’iniziativa della magistratura indagante produca effetti più definitivi della sentenza? Davvero si può credere che sia ammissibile che la magistratura inquirente non sia chiamata a rispondere della sua attività, quando la magistratura – non la politica! – decidente ne censuri l’infondatezza e, talvolta, l’arbitrarietà?

Credo che la risposta a tutti questi quesiti sia negativa e responsabilizzi il potere legislativo ad individuare le soluzioni nel rispetto della Costituzione. Certo qui sta il difficile, ma anche il “proprium” del potere legislativo.

Giorgio

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